In Italia operano 40mila tassisti e 80mila noleggi con conducente. È
dal 1992 che si cerca di garantire leggi certe. Gli autisti delle auto
bianche hanno regole più rigide e onerose, è vero, ma cercano anche di
frenare concorrenza e cambiamenti. Per questo Uber, multinazionale che
ha applicato alla gestione del servizio taxi la tecnologia che oggi
consente una prenotazione con un semplice clic sul telefonino, è il
nemico numero uno.
Sulle barricate oggi contro il decreto Milleproroghe che rinvia di un
anno la stretta su noleggio con conducenti e pratiche abusive o
comunque nuove e cioè non regolate dalla legge, i tassisti hanno eletto a
nemico pubblico il servizio Uber. Non si dice – non lo dicono i
tassisti – che l’Antitrust ha aperto un’istruttoria (il 24 gennaio
scorso, non anni fa) contro le maggiori cooperative (tipo radiotaxi
3570) perché pretendono l’esclusiva sui servizi di radiotaxi a 3mila
l’euro l’anno, servizi che il mercato e le nuove tecnologie oggi rendono
molto più efficienti ed economici di un tempo. Un taxi Uber costa in
media il 40% in meno del servizio tradizionale perché la sua tecnologia
riduce i tempi morti, secondo i tassisti perché sottopaga i conducenti.
La posizione secondo cui Uber
sostanzialmente è più democratico perché riducendo i tempi morti si amplia
l’offerta e aumentano i posti di lavoro (in America donne e neri, i più
svantaggiati nel mercato del lavoro), contro l’arroganza e la chiusura a
riccio di un pugno di tassisti organizzati in una lobby corporativa.
Ma, si obietta,
perché la stessa tecnologia non può essere applicata dagli stessi
tassisti? La risposta non può essere univoca né definitiva, ma è chiaro
che i tassisti rappresentano l’ultimo anello della catena e il nemico è
probabile ce l’abbiano in casa: ma è un fatto che le cooperative che
gestiscono i radiotaxi difendono una rendita di posizione.
venerdì 17 febbraio 2017
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